ML: Jose, nel tuo ultimo libro tradotto in francese (con il titolo La Libertà in un Mondo Fragile pubblicato da L’échappée nel 2018) si rivisita il pensiero libertario, attraverso alcuni suoi pensatori in relazione ai problemi ambientali di ieri e oggi. Possiamo concepire una società libera ed individui autonomi in un mondo con risorse limitate? Questo è il tuo approccio. È un handicap o forse una possibilità? Ti stai allontanando dall’idea di società benestanti e da una certa fede nel progresso tecnico creato dai teorici anarchici. Così, si mette l’accento su alcune dimensioni, troppo spesso oscurate o ridotte secondo te nei circoli militanti rivoluzionari come la ricerca estetica, l’interesse per la poesia, la letteratura e l’artigianato, i collegamenti con l’ambiente naturale, anche se presente in diversi autori.
José: Effettivamente e per completare le tue osservazioni, vorrei aggiungere che una vera libertà, sia a livello personale sia politico, può essere concepita solo nell’ambito di determinati limiti. La libertà non esiste nel regno dell’onnipotenza o dell’immortalità. Il sogno progressista contiene un’idea assurda: convertire noi in una sorta di divinità (ricordate che una delle prime distopie futuristiche, quella di Wells, era intitolata Uomini come Dèi). All’interno del pensiero anarchico ci sono state delle correnti in qualche senso anch’esse progressiste, altre più prudenti e lucide. Nel mio libro esploro specialmente queste.
ML: Come spiega l’assenza di donne anarchiche in questi riferimenti? Penso, ad esempio, a Emma Goldmann che dirigeva la rivista “Mother Earth” e che ha detto “Non voglio la tua rivoluzione se non posso ballarvi”?
José: È vero che in Goldman troviamo molti elementi utili per una riflessione dell’oggi. Eppure Goldman non ha approfondito questo aspetto della questione ecologica. Presto però pubblicherò un articolo sul dialogo tra Emma Goldman e Aldous Huxley su ecologia e rivoluzione (spero possa essere tradotto in francese). C’è anche una donna, Simone Weil, che da una prospettiva libertaria, ha scritto il saggio più lucido sul problema della libertà e della necessità (Riflessione sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale) . Non fingendo di essere esaustivo in questo libro, Simone Weil appare molto poco. Colgo l’occasione per ricordare che il primo libro ad aver suonato il campanello d’allarme ecologico in Occidente, Carson’s Silent Spring, è stato scritto da una donna. Non penso comunque che possa spiegare la mancanza di riferimenti alle donne senza cadere nei luoghi comuni.
ML: Il tuo libro si apre sulla questione del “popolamento” o “natalismo” (caro a religiosi e nazionalisti), cioè al dibattito avviato da Malthus (in una prospettiva reazionaria nel suo caso) tra il numero di esseri umani possibili sulla Terra in relazione alle risorse disponibili. Malthus era stato contestato sin dall’inizio da Godwin prima e poi da Kropotkin in particolare. Nel 1900 c’erano poco più di 1,5 miliardi di persone sulla Terra, oggi abbiamo superato i 7,5 miliardi e questo numero aumenta di anno in anno e sempre più esseri umani vivono nelle aree urbane. Eppure questa domanda sembra sempre tabù tra i rivoluzionari ed i circoli della decrescita. Le correnti anarchiche dei diversi paesi affrontano questo problema? Quale posto è lasciato agli altri abitanti della Terra (animali e piante), agli spazi selvaggi?
José: In effetti, queste sono grandi domande! Penso che un mondo sovrappopolato, anche se lo fosse di una popolazione completamente sobria e virtuosa, sarebbe soffocante. L’ecologista Daly ha elaborato, con riferimento al nostro presente, il concetto di “mondo pieno” che ha fatto fortuna ma che trovo banale. Penso solo che un mondo senza più zone selvagge e disabitate sarebbe semplicemente un mondo senza mistero, senza bellezza e senza avventura … La preoccupazione neo-malthusiano è piuttosto presente negli anarco-primitivisti.
ML: Nel tuo libro, abbiamo una doppia analisi dei circoli libertari in relazione ai limiti ecologici del pianeta: il dibattito spagnolo è quello francese. Quali punti di convergenza o di divergenza vedi oggi? Allo stesso modo si affrontano gli interessi e le debolezze delle due correnti dell’ecologia radicale presente negli Stati Uniti: l’ecologia sociale e l’ecologia profonda. Questi dibattiti si trovano anche in Europa?
José: Per rispondere alla prima domanda, penso che le convergenze esistono ma sono insufficienti. Da un lato, c’è una gran parte dell’anarchismo che scivola inconsciamente verso un semplice anticapitalismo o antifascismo, mentre dall’altra parte i movimenti ecologisti sono rinchiusi nel riformismo di stato od alla ricerca di un benessere privato. Inoltre, vi è una mancanza costante di critiche nei confronti della tecnologia da entrambe le parti. Riguardo al dibattito tra ecologia sociale ed ecologia profonda, c’è una scarsa presenza di esso in Europa al di fuori di alcuni contesti minoritari, come nei primitivisti dell’inizio di questo secolo (eredi di Zerzan e Kacinsky), ma non conosco nessuna rivista o gruppo in Francia.
ML: L’industrializzazione materiale ed la cosiddetta “produzione immateriale” del mondo, genera una tecnologia che inquadra individui e popolazioni e che modella i rapporti sociali. È la felicità dello Stato (controllore!) e delle multinazionali che ne traggono beneficio. Tra gli anarchici critici di questo ambiente tecnologico, allo scopo di contrastarlo, vediamo la proposta di un ritorno all’industria artigianale, verso esigenze più semplici, l’inquadramento nelle cooperative, la creazione di spazi più autonomi nei possibili margini della società capitalista. Pensi possibili tali spazi e che questi possono essere contagiosi e cambiare la società? Alla ZAD di Notre-Dame-des-Landes, vediamo che lo stato rifiuta di riconoscere le terre senza senza titoli di proprietà e gestite collettivamente…
José: Rispondo affermativamente a condizione che questi esperimenti riescano a federarsi attraverso un linguaggio ed aspirazioni comune che attraversino la geografia. Oggi, però, c’è un’enorme frammentazione che impedisce questo.
ML: Inoltre, con l’attuale collasso del numero di insetti ed uccelli impollinatori, ci si può chiedere se un’agricoltura autonoma, individuale o collettiva, in margine alla società commerciale sarà ancora possibile a medio termine. Un robot impollinatore d’api è già stato sviluppato! Sarebbe necessario acquistare questi robot per far vivere i prodotti del proprio giardino… Infine, aprire luoghi alternativi che pratichino la semplicità volontaria, quando il sistema può adattarlo alle sue necessità o rendersi indispensabile alla loro esistenza, può cambiare radicalmente il cose?
José: è ancora una domanda difficile! Forse questi percorsi alternativi servono solo a vivere con dignità mantenendo gli orizzonti politici oltre alle grandi strategie di massa. Oserei dire che non è piccola cosa al momento in cui siamo! Bisogna tenere conto del fatto che, una volta escluso il suicidio, dobbiamo accettare la responsabilità del modo in cui dobbiamo vivere. Questa responsabilità non può essere elusa a meno che non si ricada nella malafede o nell’illusione. Vivere in questo modo significa trovare un accordo con il nostro ideale, che implica inevitabilmente fare concessioni. Non dobbiamo viverlo come un dramma. Ci sono ancora cose per cui vale la pena combattere. È vero che le condizioni ambientali in cui viviamo potrebbero diventare estreme al punto di invalidare qualsiasi opzione. Non siamo però ancora arrivati. In realtà, non è mai il momento di scoraggiarsi, perché ancora una volta, dopo che il suicidio è stato escluso, la disperazione non è altro che una scusa per giustificare l’adattamento al sistema. Tutto ciò che costruiamo in coerenza con le nostre idee avrà significato per noi e per coloro che verranno dopo. Costruire una comunità di idee è un buon inizio e, se si può aggiungere ad esse alcune realizzazioni pratiche, è ancora meglio. In precedenza ho accennato ad una certa frammentazione… Questo è il problema, se una comunità di idee e azioni trasformative non può crescere oggi è in gran parte perché la maggior parte delle persone che si considerano critiche del sistema ha dimenticato qualcosa che mi sembra fondamentale: la nostra libertà deve essere misurata con i limiti di ciò che Mumford chiamava cultura materiale.
ML: In Francia, oggi, vediamo che le scelte di produzione-consumo sono più discusse in merito ai prodotti agricoli, in particolare da organizzazioni come la confederazione contadina, le cooperative biologiche… I “sindacati” sembrano concentrarsi principalmente sulla difesa dell’occupazione, della protezione sociale e degli aumenti salariali e non mettono in pratica in causa ciò che viene prodotto. Tuttavia, abbiamo visto che la Cgt Vinci, ad esempio, ha assunto la causa della ZAD di Notre-Dame-des-Landes e rivendica la creazione di beni socialmente utili di cui i produttori potrebbero essere orgogliosi. Questo caso apparentemente minoritario, tuttavia, non suggerisce di agire maggiormente nel sindacalismo e svilupparsi la richiesta di riappropriazione dei mezzi di produzione, distribuzione e la loro riconversione? Tali dibattiti si svolgono nel sindacalismo spagnolo o almeno in una frazione di esso?
José: Non so che ci sia spazio per la riflessione nei sindacati spagnoli, a parte i gesti demagogici. Ho notizie di questi sforzi in Francia. Devo però confessare che sono piuttosto pessimista su quanto potremmo andare in quella direzione. In 150 anni i sindacati possono essere resi consapevoli del problema, ma in 150 anni resteranno forme di vita più o meno intelligenti sul nostro pianeta?
Traduzione di Enrico Voccia
Testo originale in https://www.monde-libertaire.fr/?article=Interview_de_Jose_Ardillo__Ecologistes_et_libertaires_dhier_et_daujourdhuii_